top of page

Il Falco

Tra i mille progetti inabissatisi (mai termine fu più appropriato) che hanno accompagnato la mia esistenza, vi è, immancabilmente, quello di armare una barca d’epoca che mi permettesse di solcare la mia amata laguna con stile e ricercatezza.

 

Solitamente quando la mia mente è impegnata nell’elaborazione di un progetto, (la cui fase embrionale ancora non rappresenta una minaccia, almeno per le mie finanze) interviene qualcuno ad accelerarne infaustamente l’accensione.

(In diritto assicurativo l’incendio, evento assai pernicioso, si definisce come ‘’sviluppo di fiamma al di fuori di apposito focolare’’).

 

Nel caso di specie questo qualcuno, al quale avevo ventilato l’insana idea, si chiama Alessandro e nella vita è un commercialista e nella storia in trattazione si inserisce non solo in virtù delle sue doti di infallibile consulente in materia fiscale, ma anche in qualità di gommonauta di lungo corso. 

 

Riuscì velocemente a convincermi che, all’interno del fallimento di una falegnameria della zona, aveva individuato uno scafo in legno, abbandonato alle sue sorti.

 

In termini consoni al mondo dei collezionisti di rango, categoria alla quale sfortunatamente non appartengo per una serie di fattori e circostanze avverse, questa notizia suona cosi: ’’barn find’’ …e solitamente si traduce in una pioggia di milioni nelle tasche del fortunato ‘’barn finder’’ che, dopo un mai troppo complesso restauro, si trova ad avere un bolide introvabile e conteso a suon di milioni nelle aste internazionali.

 

Curiosamente io mi suggestionai immediatamente, sebbene Alessandro, in tutta onestà, continuasse a ripetermi che poteva trattarsi di un fake o, addirittura, di una ‘’insegna a forma di barca’’ per qualche attività mai decollata legata al mondo della nautica (…giuro che arrivò a dirmi anche questo per tentare di far scendere la ‘’febbre’’).

 

Niente da fare, ormai l’incendio (di cui alla definizione assicurativa sopra riportata) era divampato.

 

In poche ore avevo trovato, nell’ordine:

​

- una vettura dotata di gancio traino (di Alessandro)

- un carrello per barche, omologato ed in perfetta efficienza (di Alessandro)

- un autista compiacente (Alessandro, appunto)

​

 (…scrivendo ora, a distanza di anni, ho come l’impressione che Alessandro avesse un piano ben articolato per liberare il piazzale da quella massa informe di legno…)

 

...e lo scafo era nel giardino di casa mia!

 

Aveva avuto nel frattempo pure un battesimo, con un nome assegnatogli, assai evocativo:

il Falco 

​

Nel tentare di caricare quel pesante affare sul carrello, infatti, Alessandro ed io eravamo stati ‘’aggrediti’’ da un rapace di dimensioni ragguardevoli che si era trovato intrappolato all’interno del grande capannone entro il quale operava la falegnameria e davanti il quale la barca giaceva da anni. Ma questa è un’altra storia…

 

Ebbene, di li a poco cominciò un intenso lavoro di calafata per riportare lo scafo nelle condizioni di salpare in sicurezza (ed in grande stile, ovviamente). 

​

Si acquistarono strumenti e vernici, si scomodarono parenti ed amici, gli si dedicarono sogni ...e svariate bicchierate!

 

Gli scafi, però, constano di due parti: la prora e la poppa. Ormai lo sanno anche i bambini.

 

E se tu inizi a dedicarti alla prora (pensando bellamente che il lavoro dello squerarolo è bello e romantico ...e nient’affatto difficile) senza accorgerti che la poppa del tuo scafo in restauro è completamente marcia, devi farti aiutare… ma non da un maestro d’ascia!

 

La sentenza arrivò, inoppugnabile, da un amico, il Bibi, maestro d’ascia per l’appunto, il quale mi sconsigliò vivamente di intraprendere un restauro onerosissimo di uno scafo monotipo (senza pedigree alcuno) e …con la poppa completamente marcia!

 

Ah, dimenticavo, grazie ancora Alessandro!

IL FALCO.jpg
bottom of page